La ricerca di Luca Conca si accosta al lavoro di pittori che fanno della “messa in scena” il centro di una precisa estetica contemporanea, artisti come Luc Tuymans, Michael Borremans, Wilhelm Sasnal. Stando nei generi della storia dell’arte e ancorato da sempre al figurativo, Conca non crea una scena illustrativa né propriamente concettuale: partendo da specifiche fonti fotografiche, egli si sofferma sulle ombre, le macchie, gli elementi estranei ed estemporanei, l’errore. In seguito crea sulla tela una figurazione riconoscibile ma misteriosa, producendo cancellature, interruzioni, parti indefinite da movimenti improvvisi del pennello, e non solo attraverso un gesto pittorico, ma meditando e riflettendo sulla percezione e il senso dell’immagine, nascosti e intimi, sulla portata di estraneità e retrogusto ignoto, inconoscibile.
La riflessione sull’immagine e il colore è tentativo di ricondurre entrambi a una dimensione propria, né metafisica, né surreale, né realistica, né concettuale, ma propriamente pittorica. Il colore abita in una specie di “zona franca”, luogo di passaggio che concede libertà nella finzione, anche attraverso un sottile rovesciamento ironico e “magico” dei generi classici: figura, paesaggio, natura morta. Il pittore sonda anche l’opacità riflettente del nero, un colore\non colore che si stende sulla tela pacato e lento, silente, movimento impercettibile di negativo cromatico che crea un sipario sottile, levigato.
La continuità del percorso espositivo non viene quindi garantita da una particolare coerenza tematica, ma, provocatoriamente, dal sovvertimento sistematico delle strutture percettive della visione, date generalmente come acquisite. Le opere in mostra, pur non essendo coeve, riescono a delineare con onestà e coerenza l’inesausta indagine pittorica di Conca, che in ogni dipinto arrischia un affondo intellettuale mantenendo un assoluto controllo dei mezzi tecnici.
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